Perché AUTONOMIA e INDIPENDENZA

Certo non vi sarà domandato, un giorno, se abbiate saputo fare stare a dovere i potenti; che a questo non vi fu dato né missione, né modo. Ma vi sarà ben domandato se avrete adoprati i mezzi ch’erano in vostra mano per far ciò che v’era prescritto, anche quando avessero la temerità di proibirvelo.

Il cardinale Borromeo a Don Abbondio

cap. XXV Promessi Sposi

 

Autonomia e Indipendenza vuol essere e sarà un movimento nuovo fatto da donne e uomini che lavorano nella giustizia e (solo) per la giustizia e vogliono che il loro lavoro sia rispettato ,donne e uomini che sono sereni e si sentono liberi da condizionamenti e da appartenenze ,che sanno dialogare ma che hanno ben presente il ruolo del magistrato , che hanno ancor di più ben presente il senso della legalità ,perché ogni giorno si sforzano di rispettarla e farla rispettare ,anche a costo di sacrifici personali e familiari enormi .

Autonomia e Indipendenza nasce per questo ,e vuole esprimere e contribuire a fare esprimere in ogni sede una cultura della giurisdizione autentica .Chi si riconosce in Autonomia e Indipendenza non ha bisogno di formulare “carte di valori” o in valori di carta: , bastano i riferimenti chiari precisi ,espliciti ai caratteri della giurisdizione così come risultano nella Costituzione italiana (art. 104 Cost.) . Senza la nostra Costituzione non ha senso parlare di democrazia ,senza la Costituzione e senza quello che la Costituzione significa e rappresenta non ha senso declamare una pretesa “unità”.

Perché i magistrati che credono nella autonomia e nell’indipendenza non recitano “mantra” , e non amano gli slogan o le frasi fatte tipiche dell’associazionismo giudiziario storico ma vivono quotidianamente il loro “essere” nella giurisdizione ,consapevoli che il mestiere del magistrato richiede soprattutto capacità di sfuggire a lusinghe ed a condizionamenti sempre più frequenti ,e sempre più espliciti.

I magistrati che si riconoscono in Autonomia e Indipendenza vorrebbero una giurisdizione che guardi al futuro , proprio perché incentrata su questi fondamentali valori costituzionali centrali che poi sono alla base dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti umani e dell’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti umani che afferma che “ogni società nella quale non sia assicurata la garanzia dei diritti, e determinata la separazione dei poteri, non ha Costituzione”.

Perciò si dovrebbe sviluppare un dialogo tra tutti , prima di tutto all’interno dell’ordine giudiziario ,un dialogo per innovare e rinnovare e porre nuove e più forti basi per l’associazionismo giudiziario ,fuori da logiche e convenzioni e neppure fermo ai toni bolsi di un politichese sempre più astratto che si esprime in comunicati e che la società civile sente sempre più lontano. Un dialogo che assicuri e sappia rispettare l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione secondo il modello costituzionale che si incentra sugli articoli 2, 3 ,24 ,27 ,104 e 111 Cost ,che sia consapevole di come la giustizia incida sulla vita delle persone ,e che non dimentichi i soggetti più deboli e le vittime che vedono nella giustizia ,e nel buon funzionamento della giustizia, la loro unica speranza di riparazione dei torti ,di vita dignitosa e talvolta di sopravvivenza.

Oggi si assiste alla delegittimazione della magistratura tutta , nonostante proprio l’Europa riconosca ai magistrati italiani il primato di quantità e qualità del servizio giurisdizionale in condizioni strutturali e di organico assai difficoltose che proprio in Italia si tende a disconoscere.

Oggi si assiste al tentativo esplicito di ridimensionamento della giurisdizione ,vista come apparato improduttivo e burocratico ,da rottamare e minimizzare in un contesto dove la risoluzione dei conflitti sarà affidata sempre di più al compromesso ed alla mediazione (anche esterna) che non alla certezza del diritto vivente ,visto come inutile formalità e talora vero e proprio ostacolo al progresso economico complessivo.

Oggi la politica intimidisce ed irride ma insieme blandisce la magistratura ,e non per rispettarne una pretesa dimensione “tecnica” ,ma per coinvolgerla nelle scelte politiche ,per ostentare una cooperazione che non è “istituzionale” ,ma solamente impropria e improvvida confusione di ruoli .che collide con il principio della “leale cooperazione” tra istituzioni costituzionali più volte manifestato dalla Corte costituzionale .

Oggi più che mai perciò siamo convinti che l’indipendenza è la caratteristica di base della giurisdizione, quella su cui si fonda il “mestiere” dei magistrati. L’indipendenza va vissuta , con coerenza ed umiltà, ogni giorno ma soprattutto senza alcuna compromissione con il potere politico ed economico di turno e nel più profondo rispetto della legalità istituzionale e costituzionale. L’indipendenza dei magistrati e della magistratura sta solo nell’esercizio delle funzioni giudiziarie consapevolmente imparziale , libero e senza influenze, interne o esterne, affidato alla coscienza di ognuno ed all’assenza di pregiudizi, senza attendersi per questo plausi o riconoscimenti e senza dover temere attacchi di ogni genere: “Sine spe ac metu“, diceva Cicerone[1] e così ,semplicemente, l’indipendenza pretende di essere vissuta, con profonda dignità personale e collettiva. La professionalità del magistrato si esprime solo ,e non può che esprimersi diversamente, nell’equilibrio e nel rispetto delle regole. Ed equilibrio e rispetto delle regole non possono esistere e non possono riconoscersi senza assicurare autonomia e indipendenza nell’esercizio della giurisdizione come inequivocabilmente prevede la Costituzione.

Oggi più che mai è necessario soprattutto , richiamando Sandro Pertini [2], essere magistrati indipendenti e liberi da condizionamenti e da soggezioni e perciò in grado di manifestare nella cultura della giurisdizione e per la giurisdizione l’indipendenza della magistratura tutta, a garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali di tutti i cittadini italiani .

GC

 


[1] Cicerone ricordava che al regime di terrore imposto da Clodio nei confronti degli avversari politici  si erano opposti solo alcuni magistrati “quos neque terror nec vis, nec spes nec metus, nec promissa nec minae, nec tela nec faces a vestra auctoritate, a populi Romani dignitate, a mea salute depellerent (“che né il terrore né la violenza, né la speranza né la paura, né le promesse né le minacce, né le armi né le fiaccolate fecero allontanare dalla vostra autorità, dalla dignità del popolo romano e dalla mia salvezza [Post reditum, 7, 9]).

[2] Secondo Pertini “… La libertà di critica non conosce zone franche o settori dell’ ordinamento che possano pretendere l’ immunità… Ma la libertà di critica non può essere confusa con la denigrazione, l’ insinuazione e la calunnia. Gettare discredito sull’ ordine giudiziario nel suo insieme significa minare dei pilastri del nostro ordinamento democratico… L’ imparzialità, l’ indipendenza e l’ autonomia dei giudici sono valori che devono essere difesi con fermezza contro ogni insidia esterna ed interna all’ ordine giudiziario” .Il discorso è quello alla seduta inaugurale del CSM il 23 luglio 1981, all’epoca si stava vivendo un periodo di particolare delicatezza per la democrazia italiana e per la giurisdizione sottoposta agli attacchi concentrici di esponenti politici a causa della divulgazione delle liste degli aderenti alla loggia P2 .

 

 

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