Perché lascio Magistratura indipendente

di Aldo Morgigni – Componente del Consiglio Superiore Magistratura
18 gennaio 2015

Oggi è il mio ultimo giorno in Magistratura indipendente. Dopo quasi 12 anni presso il gruppo – prima come presidente della sezione A.N.M., mentre ero a Latina, poi a Roma per 10 anni, in G.E.S. e nel C.D.C. dell’A.N.M. ed infine nel C.S.M. – credo di averci “lavorato” abbastanza a lungo per capire la traiettoria della sua cultura, le aspettative dei suoi simpatizzanti e la sua identità. E posso onestamente dire che l’ambiente è ora il più ostile e distruttivo che io abbia mai visto.

Per porre il problema in termini più semplici: gli interessi dei colleghi continuano ad essere messi da parte nel modo in cui il gruppo opera e pensa a “spartirsi le (poche) cariche”. Magistratura indipendente è la seconda corrente dell’A.N.M. ed è ormai troppo integrata nell’autogoverno per continuare ad agire in questo modo. Il gruppo ha virato così lontano da dove si trovava quando io ci sono entrato, appena avvicinatomi alla vita associativa, che non posso più, in coscienza, dire che mi identifico con ciò che esso rappresenta.

Potrebbe sembrare sorprendente per dei colleghi scettici, ma la libertà di pensiero è sempre stata una parte vitale del successo di Magistratura indipendente. Tutto ruotava intorno al lavoro di squadra, all’integrità, allo spirito di umiltà, e sempre nell’interesse dei nostri colleghi. La cultura e la libertà erano gli ingredienti segreti che avevano reso questo gruppo vincente e ci ha permesso di guadagnare la fiducia dei magistrati per oltre 50 anni. Non era solamente una questione di “governare la magistratura”, perché questo di per sè non può sostenere un gruppo per così tanto tempo. Aveva qualcosa a che fare con l’orgoglio, l’integrità, l’autonomia dal “potere costituito” e la fede nella organizzazione. Mi dispiace dire che oggi mi sono guardato intorno e non ho visto praticamente più alcuna traccia della cultura che mi ha fatto amare di lavorare per questo gruppo per molti anni. Non ho più l’orgoglio, o la convinzione. Non penso più che stiamo facendo “le cose giuste”.

Ma non è sempre stato così. Per più di un decennio ho diffuso la cultura ordinamentale e sindacale attraverso un estenuante sistema di incontri con i colleghi, girando l’Italia, e migliaia di comunicazioni per posta elettronica. Sono stato eletto prima al C.D.C. dell’A.N.M. e poi, alla seconda candidatura, al C.S.M., dopo una strada in salita dovuta al mancato sostegno da parte del mio stesso gruppo in entrambe le campagne elettorali. Avrei dovuto prestare maggiore attenzione a questo “campanello di allarme”. Sapevo che era giunto il momento di lasciare, quando ho capito che non potevo più guardare i giovani colleghi, i MOT, negli occhi e dire loro che magnifico gruppo era M.I., visto che non c’era lavoro di squadra. O meglio, c’era lavoro contro la mia stessa squadra.

Quando si parlerà storicamente di Magistratura indipendente, si dovrà riflettere sul fatto che l’attuale gruppo dirigente ha smarrito la cultura del dialogo “in” M.I. e con gli altri gruppi dell’A.N.M. Credo davvero che questo declino della fibra morale e della capacità di discernimento della leadership, o di quello che ne rimane, nel suo complesso rappresenti la singola minaccia più grave per la sua sopravvivenza a lungo termine.

Nel corso della mia appartenenza a M.I. ho avuto il privilegio di organizzare, prima ed autonomamente rispetto ad altri colleghi dell’A.N.M., il contenzioso che ha condotto alla pronuncia della “storica” sentenza n. 223/2012 della Corte costituzionale, che ha scolpito i principi della nostra indipendenza, anche economica, davanti agli altri poteri dello Stato. Gli oltre mille colleghi che hanno agito con noi hanno fatto da volano per il recupero di alcuni milioni di euro nei confronti di migliaia di magistrati che si erano visti decurtare ingiustamente la retribuzione, ma non avevano avuto la volontà o il coraggio di esporsi. Mi è sempre dispiaciuto constatare che il Segretario generale dell’epoca, Cosimo Ferri, non fosse tra i ricorrenti che si erano esposti in prima persona su sollecitazione del gruppo guidato da lui stesso. Eppure la vittoria, promossa da me e da altri, è diventata poi un successo sbandierato dalla leadership di allora come certificazione di un’attività sindacale mai svolta, in realtà, da chi dirigeva il gruppo. Un altro segno che era ora di andarsene.

Come siamo arrivati fino al punto della spaccatura di oggi? Il gruppo ha cambiato il modo in cui pensa alla leadership. Una dirigenza abituata ad avere idee, costituisce un esempio e “fa le cose giuste”. Oggi avevamo la possibilità di eleggere Piercamillo Davigo come Presidente di M.I. Un collega al quale, per la sua autorevolezza riconosciuta a livello internazionale, importanti “opinion makers” e “leaders” politici pensano finanche come Capo dello Stato. Certo, bisognava condividere la sua linea di totale e reale distacco da rapporti non ben delineati con la politica, ma tuttavia percepibili.

La scelta, invece, è stata quella di fare prevalere una supposta maggioranza “numerica”, in realtà frutto del sistema di deleghe e “rappresentanze” dei “nobiliores” del gruppo, che ha selezionato tutte le cariche esclusivamente tra quanti si riconoscevano nella linea dei cosiddetti “ferriani”. Insomma se siete schierati “senza se e senza ma” (come disse anni fa un simpatico collega nell’enfatico tentativo di indicare la via per la fedeltà verso “il capo”), verrete promossi in una posizione di influenza. Altrimenti siete fuori.

Tutto questo non fa più per me. Non è per questo che mi ero iscritto a M.I. Oggi, quindi, lascio M.I. insieme a tanti altri con la certezza che, nei nostri ruoli istituzionali o associativi, assicureremo sempre l’assoluta integrità del nostro operato. Se ne sono andati con me due ex Consiglieri del C.S.M., i segretari distrettuali di Ancona, Bologna, Brescia, Salerno, Torino, Venezia, l’ex Presidente del gruppo, i candidati alle ultime elezioni primarie o del C.S.M., i delegati di Campobasso, Potenza, Trieste, sei componenti del C.D.C. attuale e molti altri iscritti quotidianamente impegnati a rendere giustizia. Tanti amici e colleghi, insomma. Il nostro, però, non è un addio ma solo una modo diverso di assicurare un impegno costante che continuerà in nuove forme che, sono sicuro, garantiranno sempre ai cittadini il rispetto della legalità e ai magistrati “Autonomia e Indipendenza” ..

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